LE PROSPETTIVE
La situazione attuale in Cecenia non e' tale da far prevedere una
soluzione a breve termine del conflitto. Dal punto di vista militare
si e' creato uno stallo con l'individuazione di due nette zone di
influenza controllate dalle due parti in conflitto. Il nord e la parte
pianeggiante centrale della Cecenia sono ormai completamente
presidiate dalle forze armate russe, mentre la zona montagnosa nella
parte meridonale viene descritta come la roccaforte della
guerriglia. Anche se lo scontro armato non e' piu' cosi' violento come
nei mesi precedenti, la guerra continua a mietere quotidianamente
nuove vittime tra militari e civili. Il problema dei profughi non e'
certamente di facile soluzione, anche in considerazione del fatto che
interi villaggi sono stati completamente rasi al suolo, e i
sopravvissuti ai raid aerei compiuti su quei villaggi ormai non hanno
piu' una casa dove ritornare. Anche per gli abitanti di Grozny il
rientro si prospetta difficile e non immediato, dal momento che interi
quartieri della citta', soprattutto nel centro, sono diventati un
ammasso di rovine e il grado di distruzione e' altissimo. Le
aspirazioni dei civili e dei profughi sono ormai lontanissime dalle
posizioni dei guerriglieri. L'unico desiderio e' quello di
ripristinare la pace e di vivere in condizioni di sicurezza.
Per il raggiungimento di una pace dignitosa in Cecenia e' poco
realistico sperare che il nostro Paese eserciti delle forme efficaci
di pressione sulla Federazione Russa, che vadano al di la' delle
semplici dichiarazioni di principio.
I legami politici, economici e militari che legano l'Italia alla
Russia sono ormai troppo saldi per essere spezzati dal "piccolo
contrattempo" rappresentato dal sangue di migliaia di vittime civili,
da duecentomila profughi ammassati in Inguscezia e da altre centinaia
di migliaia di civili che in Cecenia vivono nel terrore praticamente
al limite della sopravvivenza. Le recenti visite diplomatiche
effettuate da Vladimir Putin e l'ottima accoglienza ricevuta in
Vaticano e al Quirinale non potranno far altro che rafforzare questi
legami.
L'Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, e' attualmente il principale
partner industriale e commerciale della Russia, con un flusso annuo di
capitali pari a circa 2 miliardi di dollari. Nel corso della sua
visita a Roma Vladimir Putin ha piacevolmente chiacchierato con
Vittorio Mincato, presidente dell'Eni, del futuro di questa
collaborazione. Putin, inoltre, ha appena firmato a nome del governo
russo un accordo con Mediobanca per la concessione di una linea di
credito da 1 miliardo e mezzo di dollari, destinato a finanziare la
creazione di societa' a capitale misto. Il 7 giugno 2000 Putin ha
incontrato a Roma anche Gianni Agnelli, Paolo Fresco e Paolo
Cantarella per discutere degli accordi commerciali relativi alla
produzione di tre modelli Fiat (Palio, Siena e Palio Weekend) nelle
fabbriche russe di Nizhnj Novgorod. A questo bisogna aggiungere gli
accordi di cooperazione militare con la Russia ratificati a dicembre
del 1999 dalla Camera dei Deputati, proprio mentre erano in corso i
bombardamenti con cui la Russia ha devastato Grozny e molte altre zone
della Cecenia, causando migliaia di vittime civili e centinaia di
migliaia di profughi.
Quanto vale la vita dei profughi ceceni di fronte a queste colossali
manovre ? Una misura del valore economico della vita ce l'ha data un
funzionario delle Nazioni Unite che abbiamo incontrato al nostro
rientro a Mosca. Molto onestamente e senza mezzi termini ci ha fatto
presente un altro dei problemi di sicurezza legati alla presenza di
volontari stranieri in Caucaso "non aspettatevi aiuto dal governo
italiano o dall'ambasciata. Se vi accade qualcosa e' molto probabile
che decidano di sacrificare la vita di tre o quattro italiani in nome
di un quadro piu' grande". Mentre dice queste parole indica la cartina
della Federazione Russa, e capisco che i rapporti diplomatici,
economici e politici che legano il mio Paese ad un governo che ordina
bombardamenti a tappeto su colonne di profughi in fuga fanno davvero
parte di "un quadro piu' grande", un quadro in cui la mia vita vale
meno di zero. Per la prima volta dal mio arrivo in Russia la paura si
fa strada dentro di me. Fino ad allora, soprattutto prima del mio
ingresso a Grozny, avevo provato molta ansia, inquietudine e angoscia
di fronte ai rischi che correvo e alla sofferenza dei profughi, ma la
vera paura, un vuoto nero e orribile che ti riempie il petto, mi
aspettava in un tranquillo ufficio di Mosca di una agenzia delle
Nazioni Unite. Per la prima volta da quando sono nato ho una misura
molto reale e tangibile del valore della vita umana e della mia vita,
una piccola vita che per il mio Paese vale meno di Mediobanca,
dell'Eni e della Fiat.
PARTE III - UNO SGUARDO ALL'ITALIA - CONSIDERAZIONI PERSONALI
La guerra in Cecenia, con le sue migliaia di vittime civili e
centinaia di migliaia di profughi, e' tutt'altro che un semplice
"problema interno" della Federazione Russa. Gli effetti di questa
combinazione esplosiva di interessi criminali, politici, economici,
strategici e legati al fondamentalismo religioso possono essere tali
da compromettere la stabilita' di tutta la regione del Caucaso e
dell'intera Europa Orientale. Anche l'Italia, che ha appena ratificato
nuovi accordi di cooperazione militare con la Russia, e' in parte
complice di questa situazione per miopia o per calcolo potremmo
renderci conto delle nostre responsabilita' solo quando sara' ormai
troppo tardi.
Fermandomi a riflettere sulle cause sociali e sul contesto politico
che hanno fatto da sfondo alla guerra in Cecenia, sono arrivato alla
conclusione che il terreno fertile che ha reso possibile lo scoppio
della violenza e' stato un clima sociale caratterizzato, tra l'altro
da questi fattori sensazione di insicurezza dei cittadini dovuta
all'illegalita' diffusa, perdita di autorevolezza delle istituzioni,
mancanza di partecipazione diretta alla vita politica del paese,
perdita di fiducia nelle autorita' dello Stato, assenza o inefficienza
degli strumenti preposti alla tutela dei cittadini, in una parola
l'assenza o la latenza di quello che in Italia viene definito come
"stato di diritto". E' questo il clima che ha permesso ad un potere
autoritario di insediarsi stabilmente alla guida della Russia
trascinando la popolazione in due sanguinose guerre contro la Cecenia,
dove oltre a migliaia di civili hanno perso la vita anche migliaia di
soldati russi.
In Italia lo stato di diritto si esprime attraverso una fitta rete di
strutture e organismi che proteggono e tutelano i cittadini, come ad
esempio le istituzioni, la magistratura, le associazioni, le
organizzazioni politiche e sindacali, le forze dell'ordine, i servizi
di sanita' pubblica, l'istruzione pubblica, le strutture religiose e
le varie espressioni della societa' civile.
Indubbiamente, anche nel nostro Paese tutti i soggetti dello stato di
diritto non sono immuni dalla corruzione, dai problemi dovuti ad una
cattiva gestione o dall'influenza dei grossi gruppi di potere politico
ed economico. Tuttavia, in Russia e nel Caucaso questa "rete di
protezione" dei cittadini si e' smagliata molto di piu' di quanto non
lo sia in Italia, e ha lasciato aperti dei buchi dove hanno trovato
spazio l'illegalita', il malgoverno, la violenza privata e quella
delle istituzioni.
Il sintomo piu' chiaro di questa "assenza di stato" e' la mancanza di
partecipazione da parte dei cittadini alla vita politica del
paese. Sentendosi sempre piu' delusi e sempre meno rappresentati dai
loro leader, gli abitanti della Federazione Russa hanno iniziato a
perdere le speranze di cambiamento e di giustizia sociale maturate
dopo il crollo del regime sovietico. Gettando la spugna e
rassegnandosi al meno peggio i cittadini della Federazione Russa hanno
delegato ad altri le questioni di politica interna, ritenendo inutile
una partecipazione attiva alla politica, dal momento che per molti il
passaggio dal regime alla democrazia non ha comportato nessun
cambiamento nel tenore e nella qualita' della vita. Questo abbandono
della politica e questo disinteresse per la "cosa pubblica" e' stata
la condizione fondamentale per un nuovo rilancio del "pugno di ferro"
e della potenza militare della Russia. Il giorno stesso dell'elezione
di Putin alla presidenza della Federazione, la marina russa ha
effettuato tre test con missili balistici, di cui due lanciati da un
sottomarino nucleare, per una dimostrazione di forza plateale e
gratuita.
Aver toccato con mano il clima culturale, sociale e politico che e'
alla base della gestione del potere in Russia mi ha fatto apprezzare
molto piu' di prima i meccanismi democratici e lo stato di diritto che
fortunatamente esistono ancora in Italia, nonostante gli innegabili
problemi e le eccezioni a questo stato di diritto rappresentate dalle
condizioni delle strutture carcerarie, dall'inadeguatezza delle
pensioni minime e da un servizio sanitario che non e' in grado di
coprire totalmente i bisogni dei cittadini, soprattutto dei meno
abbienti.
Dopo aver vissuto qualche settimana a Mosca e in Caucaso, oltre ad
apprezzare maggiormente il contesto legale e democratico italiano (pur
con i suoi mille difetti) ho capito che la guerra e la violenza non
sono cose che ci sono totalmente estranee, che i semi dell'odio sono
presenti anche nel nostro paese. Ho maturato la consapevolezza che
negli italiani non e' presente nessun "anticorpo" particolare che li
renda immuni dall' orrore della guerra. Non siamo un popolo
"geneticamente" pacifico, ma rispetto alla Russia abbiamo qualche
decennio in piu' di democrazia alle spalle che ci protegge ancora (per
il momento) da derive autoritarie o dalla sfiducia totale nelle
istituzioni da parte dei cittadini, presupposti indispensabili
all'esplosione violenta del disagio sociale.
In Italia l'educazione alla Pace e' spesso stata descritta come un
educazione all'internazionalismo, all'amicizia con altri popoli, al
rispetto delle diversita', alla risoluzione dei conflitti a livello
personale. Sicuramente l'educazione alla Pace e' tutto questo, ma
tenendo conto della situazione particolare del nostro Paese ritengo
che in Italia anche l'educazione civica, l'educazione alla legalita',
l'educazione al rispetto delle istituzioni, l'educazione alla
cittadinanza attiva e alla partecipazione diretta alla gestione della
cosa pubblica siano tutte forme di educazione alla Pace,
indispensabili per prevenire esplosioni di violenza collettiva simili
a quelle che hanno trascinato la Russia e la Cecenia in un nuovo
inutile massacro. In questo l'Italia ha avuto due grandi maestri Aldo
Capitini, con i suoi "centri di orientamento sociale", dove i bisogni
e le aspirazioni dei cittadini trovavano spazi per esprimersi, per
progettare nuove soluzioni e per incontrare le istituzioni, e Danilo
Dolci, che con i suoi "scioperi al contrario" e le lotte per la
dignita' dei lavoratori contro lo strapotere della Mafia ha saputo
risvegliare la coscienza civile di moltissime persone.
L'ambiente favorevole in cui e' esplosa la guerra in Caucaso era gia'
segnato da molti anni dalla violenza, dall'affermarsi della legge del
piu' forte, dal banditismo e dall'attivita' mafiosa, che hanno trovato
il loro terreno di coltura in uno stato autoritario, privo di garanzie
oggettive per i cittadini che corrispondano ai diritti sanciti sulla
carta. In questa chiave di lettura, anche nel nostro Paese il
disinteresse per la partecipazione politica, il calo dell'affluenza
alle urne, il dilagare del qualunquismo che fa comodo a chi vuole
mantenere il potere e ha bisogno del minor numero possibile di "teste
pensanti", lo svuotamento dei contenuti della politica e la riduzione
della dialettica tra i partiti ad uno scontro sterile di tipo
calcistico tra due schieramenti opposti sempre meno rappresentativi
del paese reale, contribuiscono a creare le condizioni per uno
svuotamento dello stato di diritto, che e' il primo passo per la
creazione di un regno del terrore simile a quello attualmente presente
in Caucaso.
Tutti i fenomeni che allontanano la gente da chi dovrebbe
rappresentarla sono un serio rischio per la sicurezza, la stabilita' e
la Pace nel nostro Paese. Una analisi molto approfondita delle guerre
civili e dell'importanza della partecipazione politica per il
mantenimento della Pace e' apparsa sul numero 2/1999 della Rivista
"Aggiornamenti Sociali", in cui si legge che "L'esigenza piu'
universale e' quella della partecipazione politica perche' proprio il
monopolio del potere (...) e' solitamente responsabile di molte altre
disuguaglianze. (...) Poiche' ogni caso di conflitto che abbiamo preso
in considerazione ha alla base una mancanza di partecipazione
politica, questa puo' essere considerata una norma universale per
tutte le societa' a rischio di guerra".
Il miglior antidoto contro l'anarchia mafiosa, la guerra civile e la
violenza privata e istituzionale e' la partecipazione diretta alla
vita democratica del paese attraverso l'esercizio attivo dei propri
diritti di cittadino. I diritti democratici, i diritti civili e i
diritti umani non si stabiliscono una volta per sempre su un pezzo di
carta, ma vanno affermati, declinati, conquistati e difesi giorno dopo
giorno, nella vita quotidiana, sul posto di lavoro, a scuola, in
ospedale, nelle strutture sanitarie, negli uffici pubblici e in ognuno
dei nostri ambiti di attivita'.
La "prevenzione democratica" della violenza e del conflitto sociale
nel nostro paese e' un argomento che non compare nell'agenda dei
nostri politici. Alcuni sintomi preoccupanti evidenziano un pericoloso
cammino in direzione contraria a questa prevenzione, uno scollamento
irreversibile della popolazione dal mondo sempre piu' autoreferenziale
della politica di palazzo.
Negli ultimi anni la classe politica italiana ha sferrato, sia da
destra che da sinistra, alcuni duri attacchi allo stato di diritto e
alla stabilita' pacifica dell'Italia, sia sul fronte del diritto
interno che su quello del diritto internazionale. Mi limito a citare i
due casi che a mio giudizio sono piu' emblematici.
Dal punto di vista del diritto interno, i continui attacchi verbali e
mediatici sferrati dagli esponenti del polo ai danni della
magistratura rappresentano a mio avviso una azione pericolosamente
eversiva, appoggiata da una campagna mediatica (un esempio per tutti
gli "sgarbi quotidiani") che ha gia' attecchito profondamente in una
buona fetta dell'opinione pubblica. In particolare, e' abbastanza
grave che un candidato alla presidenza del consiglio abbia passato gli
ultimi anni a screditare continuamente il lavoro della magistratura,
basando questi attacchi principalmente su presunte "persecuzioni
personali" e non su problemi collettivi come la lunghezza dei
processi, il collasso del sistema carcerario o le condizioni di vita
dei detenuti.
Se il leader del partito italiano che gode del maggior numero di
consensi da parte degli elettori scredita l'intera categoria dei
magistrati e distrugge la gia' scarsa fiducia dei cittadini nei
confronti della giustizia e della magistratura, chi potra' impedire
che questa sfiducia si estenda anche alle altre strutture dello stato
e che la gente cerchi una soluzione dei propri problemi al di fuori
delle regole del gioco democratico ?
Se si afferma il principio che le vittime di sentenze ingiuste possono
farsi giustizia da sole a colpi di dichiarazioni televisive, si
accetta in linea di principio che un cittadino possa cercare giustizia
da se' al di fuori delle istituzioni. In questo senso va riconosciuto
al senatore a vita Giulio Andreotti un buon senso di responsabilita' e
un buon rispetto delle istituzioni democratiche. Riconducendo
all'interno del tribunale ogni valutazione sulla sua innocenza o
colpevolezza, Andreotti ci ha risparmiato la sua "guerra mediatica"
contro i suoi accusatori, evitando di strumentalizzare il credito e lo
spazio di cui gode presso la stampa e i media italiani per affermare
la propria innocenza fuori dal tribunale con una serie interminabile
di interviste, dichiarazioni, attacchi verbali.
Farsi giustizia da se' utilizzando il proprio potere politico e
mediatico rappresenta un grave pericolo per la democrazia, perche' si
apre la strada ad una "giustizia extragiudiziaria" simile a quella di
chi si fa giustizia da se' a colpi di lupara. Se si cerca giustizia al
di fuori delle strutture e delle regole dello stato si crea
quell'assenza di stato e quella mancanza di credibilita' nelle
istituzioni che sono i semi da cui germoglia l'anarchia, la violenza,
il banditismo, la guerra. Socrate ha perso la vita in nome del
rispetto della legge. Magari non possiamo pretendere la stessa
coerenza stoica anche dai nostri politici, ma perlomeno possiamo
pretendere che i nostri governanti alimentino la fiducia nelle
istituzioni e migliorino l'efficacia del loro funzionamento anziche'
distruggere la credibilita' di uno dei tre poteri fondamentali dello
stato.
Il secondo grave attentato alle istituzioni democratiche e al diritto
internazionale e' rappresentato a mio avviso dalle modalita' e dallo
svolgimento della recente guerra nel corso della quale gli aerei
italiani hanno bombardato la Repubblica Federale di Jugoslavia. Al di
la' di ogni valutazione sul valore etico, sulla utilita', sulla
necessita' o sulla opportunita' della guerra, c'e' da dire che questa
guerra, giusta o meno che fosse, ha costituito una grave violazione
dell'ordinamento interno e del diritto internazionale, sferrando un
grave colpo alla credibilita' e all'autorita' delle Nazioni Unite in
materia di ingerenza umanitaria. Si e' affermato in linea di principio
che una alleanza di 19 paesi puo' farsi giustizia da se' a nome di
tutti i paesi del mondo. Per rispettare le regole del gioco
democratico e del diritto internazionale, sarebbero bastati tre
semplici accorgimenti. Innanzitutto un intervento armato avrebbe
dovuto essere subordinato ad una risoluzione del consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite. Anziche' affrontare alla radice il
problema della democratizzazione delle Nazioni Unite, con
l'eliminazione del diritto di veto grazie al quale la Russia avrebbe
potuto bloccare una risoluzione contro la Jugoslavia (lo stesso veto
che rispetto alle violazioni dei diritti umani consente agli Usa di
proteggere la Turchia e alla Cina di proteggere se stessa), si e'
preferito far decollare i bombardieri senza autorizzazione da parte
dell'ONU, svuotando il consiglio di sicurezza della sua autorita' e
del suo ruolo di arbitro al di sopra delle parti in merito ai problemi
di sicurezza internazionale legati al rispetto dei diritti umani.
La seconda cosa da fare per rientrare all'interno delle regole del
diritto sarebbe stata far deliberare alle camere lo stato di guerra,
anziche' arrogare al governo l'autorita' di deliberare un attacco
militare contro uno stato estero. In merito a questa obiezione le
giustificazioni presentate sono state due quello che abbiamo fatto
non e' una guerra e un dibattito parlamentare successivo ha
legittimato l'azione militare. In merito alla prima obiezione, la
discussione sulla definizione del nostro intervento sulla Repubblica
Federale di Jugoslavia potrebbe durare all'infinito. Personalmente
ritengo che se alcuni velivoli italiani sganciano ripetutamente
materiale esplosivo ai di fuori dei confini nazionali, questo tipo di
attivita' possa a pieno diritto rientrare nella definizione di
guerra. Riguardo al dibattito parlamentare avvenuto a bombardamenti in
corso, va detto che l'ordine del giorno di quel dibattito non era la
deliberazione dello stato di guerra ma l'approvazione di alcune
mozioni in cui si facevano varie proposte per la condotta futura del
governo sospensione dei bombardamenti o "soluzione mista" fatta di
bombe e diplomazia. Alla fine ha vinto l'opzione del "doppio fronte"
militare e diplomatico, ma cio' nonostante lo stato di guerra non e'
mai stato deliberato.
La terza violazione del diritto legata a questa guerra e'
rappresentata dal ruolo offensivo e non difensivo ricoperto
dall'aviazione italiana, un ruolo offensivo che contrasta apertamente
con il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle
controversie sancito dall'articolo 11 della Costituzione. Mentre la
guerra contro la Repubblica Federale di Jugoslavia era ancora in
cantiere, in un documento prodotto dal governo, durante la presidenza
di Romano Prodi, era stato chiaramente definito il ruolo di "difesa
integrata" assegnato alle forze armate italiane, e i vincoli
costituzionali che limitavano la possibilita' di azione alla sola
difesa. Successivamente, con il nuovo governo guidato da Massimo
d'Alema, questo ruolo e' stato progressivamente modificato, e gli
aerei italiani hanno effettuato a piu' riprese incursioni aeree e
bombardamenti sul territorio della Jugoslavia, secondo quanto ho
potuto personalmente appurare da fonti dirette e coinvolte nelle
azioni militari.
Alla luce di questi due esempi appare chiaro come la destabilizzazione
delle istituzioni nazionali e internazionali sia un gravissimo
problema per la nostra sicurezza e per il nostro futuro. Subordinare
la giustizia nazionale alla sete di giustizia di una singola persona e
subordinare la giustizia internazionale alla forza di una alleanza
militare sono stati due gravi atti di destabilizzazione che alla lunga
rischiano di corrodere dal basso e dall'alto la rete di protezione dei
cittadini e le strutture di tutela che oggi fortunatamente riescono a
contenere il disagio sociale e i conflitti del nostro paese
all'interno delle regole del gioco democratico. In assenza di una
forte consapevolezza del rischio di "russificazione" del nostro Paese,
nessuno puo' dire cosa ci riserva il futuro, e se l'Italia del 2050
sara' un paese prospero o un deserto distrutto dalla violenza. Il mio
viaggio in Cecenia mi ha fatto intravedere un futuro possibile per il
mio Paese, i miei cari, la mia gente. Sta a noi fare in modo che quel
futuro non si avveri mai.
Carlo Gubitosa
Rimini/Mosca/Nazran/Grozny/Roma 18 maggio - 13 giugno 2000
FONTI, DOCUMENTI E ARTICOLI UTILIZZATI PER LA STESURA DI QUESTO DOSSIER
"Allarme nel Caucaso". Alexei Malashenko, Le Monde Diplomatique - ottobre
1999
Dossier Cecenia a cura della Caritas Ambrosiana - Area internazionale,
Novembre 1999. http://www.caritas.it/Ambrosiana/Cecenia/comunica.htm
"Repubblica Cecena, il conflitto risorto". Comunicato della sezione
italiana di Amnesty International - novembre 1999.
"Disgregazione nel Caucaso e in Asia centrale. Perche' Mosca rilancia la
guerra in Cecenia". Jean Radvanyi, Le Monde Diplomatique - novembre 1999.
"Tra guerra in Cecenia e catastrofe sociale. A Mosca, una confusa lotta di
successione". Boris Rakitski - Denis Paillard, Le Monde Diplomatique -
dicembre 1999.
"Tra guerra in Cecenia e catastrofe sociale. Gli errori dell'occidente in
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"Cecenia". Ignacio Ramonet, Le Monde Diplomatique - febbraio 2000.
"Lontana Cecenia". Annachiara Valle, Rivista del volontariato - febbraio
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"Vladimir Putin vince ma non convince". Astrit Dakli, il Manifesto 28/3/2000.
"Un'elezione manipolata". K.S. Karol, il Manifesto 28/3/2000.
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Marzo 2000.
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"La spia che volle farsi Zar". Luca Leone e Franco Fracassi, Avvenimenti
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"Il conflitto tra Mosca e Grozny. Una guerra lunga otto anni". C.Fab,
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"Ho visto in Cecenia". Antonio Russo, Avvenimenti 2/4/2000.
"Cecenia ancora sotto i raid russi. Risoluzione Onu condanna Mosca violati
i diritti umani". Giovanni Bensi, Avvenire 26/4/2000.
"Putin mano pesante sulla Cecenia". Avvenire 28/4/2000
"Le tre facce della guerriglia. Indipendentisti, l'ala integralista e il
banditismo". Giovanni Bensi, Avvenire 28/4/2000
"A chi interessa continuare la guerra". Giovanni Bensi, Avvenire 28/4/2000
"Quanto costa un litro di benzina ? Una guerra in Cecenia !". Achille
Lodovisi, Azione Nonviolenta - aprile 2000.
"Volontari dell'Operazione Colomba in Cecenia". Daniele Aronne e Andrea
Pagliarani, Sempre (Mensile della Comunita' Papa Giovanni XXIII) - aprile
2000.
"Situation of Human Rights in Chechnya in the Russian Federation". Rapporto
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"Cecenia rapporto Amnesty sequestrato a aeroporto Mosca". Agenzia Ansa, 30
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"Putin e' un affare". Francesco Paterno', il Manifesto 7/6/2000.