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23/11/2000 - Bologna:
Una Lotta di tutti: Aspettando Porto Alegre parliamo di MST e lotte sociali e agrarie in Brasile

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Brasile

Di nuovo alla COCAMP; sue grandi potenzialità; rigoroso rispetto delle norme; orti medicinali come scelta culturale; furto legalizzato di beni immateriali; organizzazione della produzione degli orti e sua distribuzione sommersa; insediamento Fazenda Pirituba ad Itapeva; vecchi amici; comunismo ed autarchia; consapevolezza; innovare con gli amici giusti; l’Agrovilla 3 e sue produzioni; storia dell’orto medicinale; punto di aggregazione: disonore sportivo; vita sociale; il barrio Engenhero Mayo; frazionismo ricucito; grande produzione suina; moneta locale; pedagogia; Radio Camponesa.
di Giovanni Nicosia - [email protected]

MST
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Ciao a tutti

Sono a Curitiba, dove fa un freddo polare, mi sto ristorando in casa di Berenice e Jeanine, e sto ancora rimuginando le belle cose imparate girando per insediamenti con Alessandra.

Abbiamo visitato e abbondantemente fotografato la COCAMP. Questa cooperativa, che ha impianti in varie cittadine del Pontal, e che presto immagazzinerà granaglie e fagioli, spremerà e confezionerà succhi di varii frutti, macinerà manioca per farne farina e fecola, e lavorerà il latte per produrre formaggi e latticini "em geral" è potenzialmente in grado di impensierire Parmalat e socii, od altri monopolisti. Allora lo scontro si farà ancor più duro.

Serginho ci ha fatto notare con orgoglio come tutto sia rigorosamente "a norma", e come tutto sai organizzato per garantire l’igiene più assoluta. Ogni autocisterna di latte che giunge dagli insediamenti, prima di scaricare, verrà controllata per benino. Un campione del suo contenuto sarà analizzato in un laboratorio, e solo dopo che i chimici avranno dato responso favorevole, si darà luogo allo scarico e ai processi di lavorazione. All’entrata di tutti gli ambienti in cui si lavoreranno gli alimenti, ci sono, sulla soglia, vasche per disinfezione degli stivaloni di gomma con cui la gente girerà per la cooperativa, irrorate di sostanze che ammazzino i germi. È molto difficile che un microbo, per quanto maligno ed ostinato, riesca a superare le docce iniziali e finali previste per tutti i lavoratori, e tutte le misure di disinfezione di cui vediamo le strutture.

La costruzione va avanti, e rispetto alla mia prima visita c’è già qualcosa di nuovo.

Vediamo anche alcune piantine medicinali, pronte per essere collocate nell’orticello qui prossimo. Questa degli orti medicinali è una moda che il movimento intende diffondere: servono per fornire rimedii efficaci ed economici, in questo paese in cui la mutua o è una burla od è privata e costa un casino, in cui le industrie farmaceutiche sono tutte straniere e si fanno pagare parecchio i loro prodotti od i brevetti in concessione.

Inoltre la produzione diretta, a livello locale, di medicinali tiene viva una parte importante della cultura popolare, che ha tutto un sapere in materia che rischierebbe l’oblio, e responsabilizza gli insediati sui problemi sanitarii. Si formano collettivi in tutti gli insediamenti, per affrontare le carenze e le malattie, ed ora anche per coltivare piantine officinali e medicinali.

Su tutto questo, come sempre, incombe una grave minaccia: l’attuale ordinamento legale brasiliano, figlio della sottomissione più sfacciata al potere imperialista degli Yanquis, recepisce la legislazione internazionale in materia di diritti riservati e protezione della proprietà intellettuale, cioè quel complesso di regole in base alle quali, per la tutela di un curioso concetto di giustizia, una multinazionale come la Monsanto può ottenere un risarcimento miliardario da un gruppo di contadini rei di aver ripiantato le sue sementi modificate per il secondo anno.

Per quanto riguarda gli orti medicinali la questione è che ci sono degli antropomedici (nel senso di medici antropologi, non di medici dalle fattezze umane) che girano in lungo ed in largo per le foreste brasiliane e colombiane col compito di raccogliere piante che non si conoscono, o meglio che i "bianchi" non conoscono. Poi, quelli che riescono ad infinocchiare gli Indios si fanno spiegare cosa di bello ci si faccia con ciascuna; gli altri mandano tutto nei laboratorii californiani, o svizzeri, o tedeschi, o francesi. Poi ci fanno un bel medicinale con l’etichetta di una qualche multinazionale farmaceutica. Pare che in questo si distinguano per impegno proprio le ditte che fanno prodotti omeopatici, che si presentano come gente buona e delicata, in camicia da notte e coi fiori in testa, rispettosa della natura e dell’umanità, ed invece sono anche loro aziende capitaliste e rapaci, la cui anima è in vendita allo stesso prezzo di quella delle chimiche e degli estrattori di petrolio.

Quando qualcuno che abita a migliaia di chilometri da ogni piantina sudamericana, e che ha sentito parlare di orti medicinali solo un mese prima di fare macelli, il tempo necessario per comprendere il business (pron. "bisinìsse"), comincia a commercializzare un medicinale i cui principi attivi erano noti da tempo immemore agli indios ed alle vecchine dei barrios, pur senza nome latino od inglese, eh, quando succede questo farselo stesso medicinale in casa diventa reato, peccato mortale, atto impuro contrario alla morale ed al costume, i quali sono stati fatti nel modo che sappiamo e per le ragioni che sappiamo. Peggio ancora venderlo al proprio vicino di casa. Multe! Azioni legali!

Ë come se la Barilla potesse confiscare il matterello alle massaie italiane perché ha la copy-rigth ed il marchio registrato sulle tagliatelle. Ce l’avrà sulle sue, su quelle che si chiamano "tagliatelle Barilla", ma non sulla tagliatella universale, sulla tagliatella in sé, sull’idea platonica di tagliatella. La ricetta della tagliatella è patrimonio storico di tutto il popolo italiano, anzi di tutta l’umanità dotata di bocca, stomaco e papille gustative. Allora perché qualche banda di omeoladri deve avere il monopolio sui tè e le tisane che le gente sempre si è fatta quando ha sofferto dei suoi mali? E non parliamo solo di emicraniette leggere, ma anche di mali serissimi, cronici od acuti, che lasciano senza parole i nostri scienziati. È chiaro perché: il fina è creare la dipendenza economica e culturale più assoluta dell’umanità tutta al capitale.

In questo paese con carenze sanitarie croniche e diffuse, questo significa condannare per decreto milioni di persone al malanno permanente.

A casa mia questo si chiama furto, anche se il corpo di reato non è un oggetto concreto, ma un sapere. Non crediamo che la cosa non ci riguardi perché minacce simili potebbero riguardare anche cose che ci appartengono, o che appartenevano ai nostri bisnonni e che noi andiamo dimenticando.

Il movimento incentiva la creazione di orti e la fondazione di collettivi appositi, in cui in genere preponderano le donne. Con l’aiuto di qualche ONG, le piante medicinali vengono piantate e ripiantate, si organizzano piccoli vivaii, si fa l’humus, nella solita tendenza a chiudere le catene produttive. Si compra fuori solo la vaselina per le creme e l’alcool per le sospensioni, e si producono medicamenti per moltissime malattie.

Soddisfatte per quanto possibile le necessità degli insediamenti, la produzione medicinale, come tutte le altre, si rivolge al mercato. O meglio si rivolgerebbe se non intervenissero i malippi di cui sopra. Si ricorre dunque a forme paralegali: nel negozio della Riforma Agraria di S. Paolo gli infusi, le sospensioni e le pomatine ci sono, ma ufficialmente non se ne sa nulla, e non sono esposte in vetrina. Bisogna saperlo e chiederle. E allora il commesso, una volta certo che non siete poliziotti od ispettori di qualche ente di repressione sanitaria o commerciale, v’imbandisce tutto un armadio di roba.

Ma il commercio, soprattutto quello compagno, vive di diffusione militante e di pubblicità, e questo penalizza un po’ il settore medicinale.

Penso che comunque risolveranno in qualche modo il problema, pur con l’inasprirsi della repressione: ricordo che in pieni anni ottanta, quando in Italia ogni pretesto era buono per dare del terrorista ad un compagno ed in nome di ciò avere licenza di fargli cose tremende, c’era chi vendeva a Bologna i pacchettini di fumo col simbolo di Al-fatah. Se i compagni di allora riuscivano in questo, l’MST, che non produce stupefacenti, benché in passato la stampa filofernanda abbia sostenuto anche questa menzogna, ma tisane e cose che sono il frutto del matrimonio tra sapienza popolare ed appoggio tecnico di ONG in prevalenza svizzere, avrà modo di aprire canali di diffusione efficienti, ufficiali o meno.

L’orto più sviluppato, ci hanno detto, è quello di Itapeva. Là, nelle sei agroville in cui si suddivide la fazenda Pirituba, vivono circa 300 famiglie, quasi 1200 persone. La fazenda è enorme, circa 2400 ettari, ma solo il 40% è stato destinato alla riforma agraria, mentre il rimanente è diviso in un’area che già apparteneva a piccoli proprietarii, ed una parte di pertinenza di un ente statale che fa riforestazione. Siccome l’ente ripianta solo eucalipti, che sono piante che da sole rovinano la terra, ci dicono i compagni, anche nell’area amministrata dagli insediati si procede a riforestazione, ma con criterii ecologicamente più avanzati che implicano diversificazione e privilegiano la flora nativa spontanea.

Lavorano molto con ONG di varii paesi, e hanno sviluppato una forte cultura del rispetto ambientale e del biologico. L’insediamento è antico, risalendo alla fine degli anni ’80 ed ora sta vedendo la luce la terza generazione di insediati. I nonni hanno conquistato, con i figli piccini in grembo, od in pancia, che ora hanno già un’età coniugabile e figliano a loro volta. Ci si sposa presto in questo contesto rurale, ed in generale nel paese, e ne vengono fuori dei figli bellissimi e sani.

Angelina, che ho conosciuto in Promissão, e suo marito Fermando vivono nella Agrovilla 3, con la bellissima Lorena, loro figlia di quattro anni. Sono gente meravigliosa e abbiamo apprezzato moltissimo la loro ospitalità. Hanno una casa molto carina, da cui si vede un cielo limpido ed uno stupendo paesaggio montano.

Lavorano nella cooperativa che organizza la vita di tutta la comunità. Anche qui tutto è collettivo, e le cose sono state fatte molto in grande. La Cooperativa di questa agrovilla si chiama COPAVA e gestisce circa 500 ettari. Ci sono macchinarii agricoli di ogni tipo, fermi restando i vincoli della produzione biologica. Ci sono macchine che raffinano il riso, altre che raccolgono il miglio, e fanno tantissime cose in un baleno. Per usare tante macchine la cooperativa ha dato vita ad un’officina meccanica, che tra l’altro occupa quei giovani che "não gostam a roça". È molto ben organizzata ed equipaggiata, e ripara gli impianti, le auto della cooperativa, ed anche alcune macchine di privati o di altre cooperative del circondario, che ne sfruttano la vicinanza e la competenza. I meccanici hanno fatto corsi organizzati da ONG di varii paesi, cosi come pure gli allevatori e tutti i cooperanti. Ora sono i più esperti di loro che addestrano gli altri.

Questo di imparare a farsi le cose in casa e poi riprodurre e diffondere questa capacità, è una tendenza promossa dal Movimento, oltre a esser tipica della cultura contadina.

Gli insediati di Itapeva, a differenza dei socii di tante cooperative del nostro paese che conoscono solo il loro segmento, sanno perfettamente da dove vengono e dove vanno tutte le cose che passano per le loro mani, anche perché, per rompere la dipendenza dall’esterno e liberarsi dai ricatti dei monopolisti internazionali, cercano di chiudere le catene produttive.

Questo li salva un po’ anche dalla diffusione delle malattie del bestiame, come l’afta di questi giorni, per cui molti allevamenti di Rio grande do Sul e Santa Catarina stanno abbattendo e seppellendo i loro capi. Le 120 vacche dell’Agrovilla 3 sono nate lì dove stanno oggi, in un bel pascolo recintato, e discendono da un gruppo di vacche di razza locale, ossute e robuste, meticciate, tempo addietro con vacche simmenthal comprate dal mercato internazionale.

La protensione internazionale di questo insediamento lo rende molto rapido ad assimilare le novità tecnologiche dell'allevamento e dell’agricoltura in generale, migliorandone l’impatto ambientale e la capacità produttiva. Fernando mi dice entusiasta che la produttività del terreno é addirittura di 60 sacchi di riso per ettaro. A me, che sono di città, questo numero non dice granché, ma capisco che deve essere tanto.

La coop dell’Agrovilla 3 alleva cinghialetti, con 6 matrici ed un riproduttore; fanno maiali leggeri (90 chili) da vendere sui tre mesi; fanno apicoltura producendo un miele buonissimo; hanno boschi da legna, con prelevamento controllato e rimboschimento; hanno grandi progetti di itticultura, e grande fiducia nel futuro e nelle loro capacità. Quelle attuali e quelle che si procureranno grazie alla cooperazione internazionale.

Ci sono i famosi orti: uno alimentare ed uno medicinale. Anche Qui si tenta di farsi tutto in casa: si fa l’humus, si usa concime naturale che viene dai pascoli, si lavora ad un vivaio. 3.000 pomodori, 5.000 peperoncini, molti altri grandi numeri che non riesco ad annotare, tutto va al consumo interno ed al commercio.

L’’orto medicinale è nato grazie ad un progetto dell’associazione Medici Senza Frontiere, che inviò qui una dottoressa svizzera ad occuparsi della salute degli insediati per un anno. Questa ragazza si trovo tanto bene in questo insediamento così ben organizzato, che volle poi tornare, una volta finito il mandato, con nuovi progetti. Coinvolse in essi anche il suo compagno, uno svizzero di cui ignoro la professione, ma che doveva avere a che fare con le arti.

Questi, però dopo un certo tempo, volle tornare in Europa. Lei invece avrebbe voluto invecchiare tra le mucche e i cavalli degli insediati, circondata dall’affetto di questi ultimi e dal calore di questa terra. Litigarono, brigarono, piansero, poi si riappacificarono e decisero di partire. Ma la dottoressa volle lasciare qui un ricordo concreto e permanente del suo passaggio.

Cogitò e rimuginò, discusse con la direzione della cooperativa e con gli insediati, alla ricerca di qualche iniziativa che soddisfacesse qualche loro necessità. Venne fuori l’idea dell’autoproduzione medicinale. Ando in Svizzera e tornò qui, per l’ultima volta, dopo aver appreso tutto il possibile sull'arte di curarsi con prodotti naturali. Si selezionò un collettivo, tutto femminile, cui lei potesse trasmettere le cose apprese.

L’agrovilla che si rivelò più indicata per impiantare questa produzione fu proprio la 3, ma ad essa vennero anche insediati di tutte le altre, ed oggi abbiamo qui un grande orto medicinale, con 58 specie di piante medicinali, ed una sorta di piccola scuola di erboristica, che ricerca nuove combinazioni e produce rimedii per l’insediamento ed il commercio semiclandestino. Ventuno signore gestiscono il tutto, comprando fuori solo la vaselina per le creme e l'alcool per le sospensioni.

Richieste e commesse giungono anche da S. Paolo. Come presidio sanitario è utilissimo, e ora c’è anche una dottoressa che viene due volte alla settimana e prescrive le ricette.

La gente della Agrovilla 3 vive intorno alla cooperativa. Da essa dipende anche un negozietto che vende anche cose comprate fuori, ma a prezzi minori dei negozii di Itapeva o Itaberá, cittadine prossime. Esso fa anche da bar, e la gente la sera va lì a fare chiacchiere, bere una birra o una cachaça, e giocare a carte o a biliardo.

Fernando e un suo amico ci danno una straccia memorabile (Brasile batte Italia, rapprr. locali), ma noi diciamo che siamo molto fuori allenamento.

La vita sociale e culturale non si limita a questo. Quasi tutte le case hanno le televisione e c’è un videoregistratore che ci si passa a turno. Ma in realtà si chiacchiera e si suona. Ci sono iniziative varie, per non parlare dei tornei sportivi, maschili, femminili, o misti, che infiammano le sei agroville ed il quartiere Ingenhero Mayo, che è un pezzo del comune di Itaberá che si trova nel territorio della fazenda.

Gli abitanti di esso ce l’hanno un po’ su con questi Sem Terra, e non ne hanno capito la lotta. Solo alcuni hanno voluto partecipare alla divisione della fazenda, e gli altri hanno preferito continuare a dipendere dall’unica industria sita nel barrio, una segheria. Quando giocano, mi raccontano alcuni insediati, fanno certi fallacci pesi, e fanno sempre i sostenuti. Nei fatti però poi vengono a comprare le cose nei negozietti delle agroville, e frequentano i bar. Il pregiudizio sta piano piano sgonfiandosi, grazie anche al fatto che i bambini dei Sem Terra ed i loro vanno nella stessa scuola ad Itaberá, con lo stesso scuolabus, e che in generale i cittadini condividono posti di salute ed altri servizii, come pure certe necessità.

Ë un’altra tribù, ma l'integrazione è all’orizzonte, e per ora si convive.

Come pure c’é, vicino agli impianti della COPAVA, un gruppo di insediati che non ha voluto partecipare ad essa, scegliendo forme di produzione individuali. Sono 42 famiglie, che però lavorano in sinergia con le altre cooperativizzate. Non ho capito se si è trattato davvero di una libera scelta filosofica, come assicurano i compagni, o se c’é stato un qualche scazzo originario. Certo ora non c’è la minima competizione tra i due gruppi, e anzi si collabora più che si può.

In un’altra agrovilla visitiamo un grande allevamento suino, molto ben organizzato e supercontrollato dal punto di vista sanitario. 1030 maiali di vario peso, e poi altri 200 da ingrasso. Otto lavoratori nutrono, lavano, aiutano nel parto, aprono e chiudono i finestroni delle costruzioni coperte, e danno alle bestie una alimentazione studiata. Non è come nell’Agrovilla 3 dove i maiali sono quasi del tutto liberi di scorazzare per il prato e vengono nutriti con le zucche rifiutate ed altre cose avanzate. Ma non è neanche come negli allevamenti europei, dove i suini stanno ammucchiati o stretti in cellette, e sono gonfiati con cose strane.

Qui va molto il maiale leggero, da 90 chili, da consumarsi preferibilmente a 4 mesi di età. Ci si fa carne e salsicce, che sono consumate nell’insediamento, o vendute al commercio. I traversadores sono commercianti che passano nelle campagne col camion comprando i prodotti. Sfruttano un poco, ma ancora il Movimento non ha la forza e le strutture per distribuire tutto ciò che produce. Non c’è la Coopadriatica o Emiliaveneto, e spero che come le nostre, monopoliste e sfruttatrici, non ci sai mai.

Questa cooperativa si chiama COPADEC e funziona da cinque anni, sfruttando impianti che erano del fazendero. Il lavoro però comincia ad essere un po’ troppo, e gli insediati stanno studiando il modo di inserire nella produzione anche gente di fuori. Bello: con tutta la disoccupazione che c’e nelle città brasiliane, qui si dimostra nei fatti che ad organizzare le cose ammodino, e non solo pensando ai profitti dei multivampiri, il lavoro salta fuori, e la pappa pure, e l’abitazione anche, con contorno di vita culturale, e unitamente alla coscienza civile.

In generale l'insediamento è un posto meraviglioso, in cui ci si sposta a cavallo fin da bambini, in cui si mangia bene, ed in cui la vita può scorrere tranquilla e sana. Di cose ce ne sono molte, ma di denaro ce n’è poco. Per questo le cooperative emettono buoni di consumo, dei valori di 1 o 10 reais, che dovrebbero valere solo nei suoi spacci. In realtà però, essendo la clientela più vasta del solo insieme dei socii, i buoni girano anche nel barrio Engenhero Mayo, e sono accettati anche nei negozii di là. Questo non so se sia legale, perché batter moneta dovrebbe essere prerogativa dello stato, ma risponde ad una effettiva necessità. Se c’é ricchezza ma non c’e denaro bisogna pur organizzarsi in qualche modo.

Come si diventa socio di una cooperativa? Offrendo la propria terra, che si ha in concessione come insediati, e partecipando col proprio lavoro. I socii hanno diritto ad una certa quantità di prodotti.

Ci sono due scuole, in due agroville, e poi c’è l’autobus che porta i cinni ad Itaberá. C’è in ogni agrovilla un asilo. La compagna Marcia lavora nel ramo pedagogico, oltre che nella segreteria, e mi parla di progetti specifici per l’infanzia. Il Movimento sta elaborando una sua pedagogia, di cui purtroppo non ho saputo molto, ma che sembra interessante. C’è già una vasta bibliografia in materia, ed ho intenzione di documentarmi a fondo. D’altra parte, le necessità di alfabetizzazione di massa e la presenza di insegnanti e pedagogisti nei movimenti popolari, ha dotato la sinistra brasiliana di una notevole tradizione di ricerca pedagogica. E qui si continua.

C’è poi una cosa per cui l’insediamento é famoso nella regione e nel Movimento: la radio.

Radio Camponesa ha un raggio d’emissione di 30 chilometri, ed è uno strumento politico e culturale insostituibile. Informa, intrattiene, consente la diffusione esterna delle istanze politiche che il Movimento produce, e consente un facile rapporto con l’esterno. È allacciata al telefono, e, a differenza di quella di Promissão, può suonare qualsiasi tipo di disco, cassetta o CD. Ha impianti nuovi e funzionanti.

La radio organizza feste cui gli insediati e gli abitanti dei dintorni affluiscono in massa, per mangiare churrasco e ballare il forrô, o per sentire qualcuno suonare. Questo la finanzia.

Cari compagnucci vi saluto.

Credo che questa sarà la mia penultima o terzultima lettera da qui: le visite militanti stanno giungendo al termine, e, se i compagni non tireranno fuori altre cose strane mi resta solo da vedere una scuola di capacitazione in Veranopolis, RS. Ma vedremo.

Ciao a tutti

GIOVANNI