Il trentaduesimo numero di Africanews in lingua italiana comincia con un atricolo anonimo. Anonimo per forza di cose, anonimo per garantire la sicurezza dell'autore. In moltissimi stati africani, troppi, scrivere la verità che da fastidio al potere diventa spesso fonte di guai, guai seri. In questo caso si tratta del Kenya ma ogni mese si possono trovare situazioni in cui la libertà di stampa viene brutalmente stroncata. Il caso del Kenya riguarda l'assassinio del missionario statunitense John Kaiser che da anni inchiodava il regime di Daniel Arap Moi alle sue responsabilità.
Il Kenya è sempre stato una delle nazioni predilette dalle potenze occidentali, sia per la sua posizione strategica geograficamente, essendo baluardo a contatto del mondo arabo musulmano, sia per le basi militari inglesi che vi sono installate. Sta di fatto che Moi, al potere dal 1978, ha potuto agire indisturbato violando la legalità. All'epoca delle prime elezioni multipartitiche del 1992 ci furono scontri etnici con migliaia di morti, scontri provocati ad arte da elementi governativi, eccidi che padre Kaiser aveva denunciato.
Sono situazioni come queste, situazioni tollerate dalle grandi potenze che contribuiscono a prolungare lo stato di sfacelo in cui versano molte nazioni africane. Qualcuno potrebbe obiettare che dando il benservito a tipi come Moi non si risolverebbe nulla perché arriverebbe una nuova etnia, una nuova lobby, un nuovo partito a depredare il Kenya. Non è vero! In Africa, nonostante il quadro desolante che presenta, la società civile in questi ultimi anni è cresciuta e potrebbe dire la sua parola.
Il secondo articolo di questo numero potrebbe sembrare frutto di un'allucinazione: le autorità sudanesi, nel caso il governatore di Karthoum, hanno deciso che nel cimitero cristiano della città c'era posto per creare un centro commerciale. Il disturbo ai poveri morti, molte salme sono state esumate e spostate, sarebbe ripagato con i nuovi muri di cinta e altri servizi che ora mancano. Le reazioni violente a questo sconcertante progetto non sono arrivate soltanto dalla parte cristiana ma anche da musulmani rispettosi della religione altrui.
Nell'inferno creato in molti stati africani dal diffondersi dell'Aids, sono sorte oasi di speranza e di sollievo per gli ammalati. Sono le organizzazioni create dalle piccole comunità cristiane che visitano i sofferenti a domicilio portando conforto morale e medicine. Operando soprattutto sulla costa di Mombasa, questi cristiani si trovano a contatto soprattutto con musulmani che sono in stragrande maggioranza in quella zona. Ciò ha causato qualche malinteso ma ha anche reso più forti certi legami fra persone di religioni differenti e, soprattutto, di buona volontà.
Dal Malawi arriva invece un rapporto sulle violenze domestiche. Vittime ne sono naturalmente le donne che devono subire i soprusi dei mariti per due motivi principali. Il primo di carattere economico, se lasciano la casa non sanno dove andare e cosa mangiare e il secondo di carattere culturale: queste donne, specie nelle aree rurali, non sono consapevoli, non conoscono i diritti loro spettanti. Associazioni sui diritti civili stanno cercando di educarle ma mancano anche i pochi soldi che servono per girare le campagne. Inoltre, anche in Malawi, come da noi, i tempi della giustizia sono così lunghi da scoraggiare le vittime dei soprusi che, alla fine, si astengono dal ricorrervi.
Africanews staff