Ci sono storie a lieto fine anche in Africa, viene da dire leggendo il primo articolo del 38° numero di Africanews in lingua italiana. Arriva dal Ghana dove qualche mese fa il duro e diciamo anche spietato Jerry Rawlings lasciava, dopo 20 anni di potere assoluto, la presidenza al rivale John Kufour vincitore delle elezioni. Di storie a lieto fine ce ne sono a miliardi in Africa, la nostra frase all'inizio dell'articolo serviva come paradosso ironico, per rilevare e stigmatizzare come i media, in ogni parte del mondo, ben difficilmente riportano notizie positive dal continente africano.
La notizia che viene dal Ghana si potrebbe dunque sintetizzare così: anche i dittatori perdono il posto e vengono cacciati mentre le loro vittime possono ritornare in patria da dove erano fuggiti precipitosamente per evitare violenze e sovente l'eliminazione fisica. Nell'articolo si racconta la storia a lieto fine di un anziano ex-militare ghaneano che ha trovato il Paradiso in un posto di guardiano nella capitale Accra. È una piccola storia che scompare dinnanzi alle cifre fornite dall'Alto Commissariato per i rifugiati, milioni di persone che fuggono per le guerre e le carestie. Poi, finalmente un giorno molti possono tornare come il nostro anziano ex-militare del Ghana e chissà che qualcuno di loro non trovi il suo piccolo paradiso su questa terra.
Con il secondo articolo ci trasferiamo in Zimbabwe, uno stato che soltanto una decina di anni fa veniva citato come esempio nel campo della sanità. Oggi invece tiene banco una polemica su un preparato erboristico cinese che viene indicato come efficace nella cura contro l'Aids. Peccato che dalla sua parte ci siano soltanto i guaritori tradizionali locali mentre il ministero si è limitato a bandire la pubblicità del farmaco. Il partito al potere ha però chiesto al ministro di non essere così duro ma di lasciare che gli ammalati, circa 3 milioni su una popolazione di 13 milioni, prendano le medicine che vogliono ma che soprattutto possono comprare perché molto meno costose di quelle che arrivano dall'Occidente.
Ci sono piccole notizie, riportate soprattutto dalla stampa africana, che riguardano gli acquisti di armi da parte di paesi dove un ammalato deve presentarsi all'ospedale con medicine, bende o siringhe se vuol essere curato. Tu leggi la notiziola che dice: il paese Tal dei Tali ha acquistato due elicotteri e una motovedetta per un valore di XXX miliardi. Ti arrabbi, chiedi a Dio di far scomparire dalla faccia della terra i mercanti di armi e le banche che li hanno come clienti, poi... pensi quante cose si sarebbero potute fare con quei miliardi.
L'articolo che viene dall'Angola ci da qualche speranza. Il Fondo monetario internazionale vorrebbe monitorare i guadagni che l'Angola ricava dalla vendita del petrolio per evitare che questi soldi vadano a finire nell'acquisto di armi per combattere i ribelli dell'Unita, una lotta civile che dura praticamente da quando i portoghesi se ne andarono e cioè dal 1975. Il Fondo monetario non ispira molta fiducia in chi ama l'Africa, visti anche i guai che la sua sorellina Banca Mondiale ha fatto nel campo della sanità africana, però un freno a queste spese che non sapremmo come definire, mostruose, disumane o demenziali, va messo. L'Angola ha la seconda peggior incidenza di motralità infantile mondiale nel 2000 e il 62% dei suoi 13 milioni di abitanti vive nella povertà assoluta mentre centinaia di miliardi di lire prendono la strada delle fabbriche d'armi siano esse russe, americane o soprattutto francesi. E allora bisogna sperare nel Fondo monetario e nelle sue "armi" finanziarie.
L'ultimo articolo è praticamente il testamento politico di un grande capo della resistenza Nuba al governo islamico del Sudan. Yusuf Kuwa è morto in aprile ma rimane la sua testimonianza sulla lotta di questo popolo minacciato di genocidio.
Africanews staff